LA TESTIMONIANZA | “Io giornalista, vittima di uno stalker. Vi dico tutto…”
Quasi l’80% delle donne che subiscono atti persecutori decidono di non denunciare. La stragrande maggioranza delle persone stalkerizzate tace.
Per questo ho deciso di raccontare la mia storia, forse troppo simile a quella di molte altre. Tutto inizia un anno e mezzo fa. Vado ad intervistare un’artista rock. Il giorno dopo esce il mio servizio. Mi scrive su Messenger un uomo. Uno dei tanti. Mi fa i complimenti per l’intervista. Mi dice di essere stato presente a quel concerto e quanto la mia lettura fosse corrispondente al suo pensiero. Mi scrive di avermi notata mentre facevo le riprese. Lo ringrazio per i complimenti. Mi chiede se ne farò altre, se mi occupo spesso di rock. Sempre con cortesia rispondo alle domande che però cominciano ad essere numerose, per cui taglio e saluto. Il giorno seguente scrive nuovamente, leggo i numerosi messaggi ma non rispondo. La cosa prosegue insistentemente per un po’ di tempo. Quindi inizia a chiedermi perché non risponda più. Mi secco. Lo blocco.
Passa qualche settimana, forse un mese e trovo nuovi messaggi su un altro profilo. Più o meno la stessa procedura. Non me ne occupo. Penso che prima o poi si stancherà. Arriviamo a qualche sera fa. Sono ad un concerto per un’intervista, sono seduta da sola su una panchina, in una zona semi-buia, in attesa che l’operatore termini le riprese. Noto un uomo che in modo bizzarro mi gira intorno. Mi sento osservata. Alzo gli occhi e lui gira la testa. Penso lì per lì sia uno strano modo di attirare l’attenzione. Lo trovo quasi esilarante. Per cui estraggo il cellulare e lo filmo. Mentre sto abbassando il telefono sento che mi si siede accanto.
“Sei Paola Reani vero”? Alzo lo sguardo, incrocio i suoi occhi.
Chiedo: “Chi sei”?
Tu mi conosci come “XXX”. Il mio sangue si gela.
Capisco immediatamente essere lui. Realizzo stesse utilizzando un profilo con uno pseudonimo. Capisco di essere sola e in una zona appartata.
“Perché mi hai bloccato”? Mi chiede agitato.
“Perché mi scrivevi tanto” replico.
“Ok ora sbloccami, scriverò meno”.
“Ok” gli dico per tranquillizzarlo mentre temporeggio cercando con lo sguardo il collega.
“Dammi il tuo numero”!
Risoluta dico “NO”!
“Abiti ancora a XXX”?
Sento un brivido lungo la schiena. Sa altre cose personali. Mi rendo conto della situazione. Dribblo la domanda. Mi alzo e dico di dover finire il mio lavoro. Raggiungo l’operatore dall’altra parte del capannone, gli spiego la situazione. Si siede accanto a me. Mi chiede di descriverlo e dove si trovi. Non lo vedo più. Eppure sono certa ci fosse, non può essere sparito. Giro la testa ed è lì, proprio dietro di me. Mi ha raggiunta nuovamente. Decido di andarmene.
Il mattino seguente appena accendo il telefono vedo che durante la notte ha cercato in rete post con mie foto, ha messo vari like, in orari differenti. Passa mezza giornata e trovo un’altra serie di messaggi. Lo blocco ovunque. Non mi sento al sicuro. Inizio a guardare dietro di me, a chiudere le porte con varie mandate. Mi osservo e capisco di essere destabilizzata. Mi sento fragile. Inizio a pensare a tutte le persone che subiscono stalking pesanti e persecuzioni. Mi sento impotente. I pensieri vorticano. Quali saranno le sue intenzioni? Si fermerà? Fin dove arriverà?
Ma cos’è lo stalking e quando diventa tale, mi chiedo. Nel momento in cui i comportamenti di un’altra persona ci generano ansia e paura, condizionano la nostra quotidianità, in quel caso lo è indubbiamente. Così mi rispondo. E no. Io non voglio sentirmi così, non è giusto. Non voglio essere sopraffatta dalla paura dell’incognito. Capisco di dover reagire e di non voler subire passivamente questa situazione. Decido di scrivere un post, di raccontare ciò che sto vivendo. In fondo, tutto è partito da lì. Nemmeno il tempo di cliccare “invio” e decine di donne mi scrivono e mi chiamano, per raccontarmi le loro storie. Scopro che una quantità enorme di individui subiscono stalking e che la maggior parte di loro tace, per varie motivazioni.
Un carabiniere legge il mio post, mi contatta e mi spiega che esistono possibilità per arginare questi fatti. In particolare mi istruisce sull’”ammonimento”: un richiamo che l’arma effettua facendo presente all’individuo, in questione, di aver oltrepassato il limite. Non si tratta di una vera e propria denuncia ma di una sorta di cartellino giallo. In molti casi questo è sufficiente a bloccare le azioni di disturbo. Ecco la soluzione.
Faccio un altro post e spiego di questa possibilità. Rispondo a quante mi contattano privatamente. Offro la mia disponibilità. Molte mi scrivono per ringraziarmi e mi dicono di aver trovato ora il coraggio di raccontare e di farsi aiutare. Tante donne si sentono in colpa per aver inizialmente risposto ai messaggi ma questo non può autorizzare qualcun altro a non avere rispetto per i “no” o per i “basta”. Se io ti blocco su un social questo ha un significato chiaro che non puoi fingere di non cogliere. Nessuno dovrebbe sentirsi nelle condizioni di dover cambiare le proprie abitudini di vita a causa di qualcun altro. E’ tempo di reagire, di far sentire sbagliati questi individui, di additarli, di pretendere rispetto, di farli emergere, di educarli.
Non è più tempo di tacere, ora dobbiamo farci sentire.