Politica di Redazione , 18/06/2025 6:08

Braccio di ferro sul terzo mandato, 7 giorni per l'intesa

Luca Zaia
Luca Zaia

Ancora sette giorni: dopo l'apertura di Fdi che ha preso in contropiede il resto della maggioranza, la Lega ha chiesto più tempo per capire se mettere davvero nero su bianco una (ennesima) proposta per allungare la permanenza in carica dei presidenti di Regione. Perché sul terzo mandato, e sulle conseguenti scelte dei nomi da mettere in pista per le regionali d'autunno, manca ancora l'intesa politica - Forza Italia si dice totalmente contraria. E potrà arrivare solo dopo che si saranno parlati i leader.
    

Un vertice ci potrebbe essere già giovedì al rientro di Giorgia Meloni dal G7 in Canada, pronostica qualcuno, anche se c'è chi non esclude che si possa andare all'inizio della prossima settimana. A ridosso della nuova scadenza per depositare emendamenti a un ddl dedicato ai numeri dei consiglieri regionali che resterebbe, nonostante le proteste delle opposizioni, il veicolo più veloce per modificare i mandati dei governatori.
I leghisti restano guardinghi. Nessuno sa davvero dire se il via libera a una discussione sia "vera" o solamente "tattica". Nel frattempo in Veneto, dove tornerebbe in gioco Luca Zaia, la Liga scalpita. E all'unanimità lunedì hanno deliberato di fare partire la macchina della campagna elettorale, in un direttivo cui sembrava dovesse partecipare lo stesso Zaia (che poi invece era impegnato altrove). Anche i meloniani veneti sono in attesa. Per mesi hanno rivendicato gli ottimi risultati del partito e la stessa Meloni a inizio gennaio, a dire il vero, aveva chiarito che nella scelta del prossimo candidato governatore Fdi andava tenuta nel dovuto conto e fermando tutti i tentativi di allungare i mandati.
    

Oggi lo scenario è capovolto. L'idea di un terzo (che poi sarebbe il quarto) mandato del "Doge" non è più così indigesto anzi, sembra una soluzione ben gradita, che potrebbe garantire la pax interna evitando, al contempo, di dover appoggiare un nuovo nome leghista. "Meglio altri 5 anni Zaia che 10 anni un altro", come ad esempio il vicesegretario Alberto Stefani che sarebbe in pole, fanno notare diversi meloniani.
Certo, i tempi sono strettissimi e c'è da superare il niet azzurro. Antonio Tajani l'ha detto chiarissimo, la Lega "può presentare l'emendamento che vuole, Forza Italia non lo vota". Punto. Ma in molti sono convinti che il no del segretario di Fi sia negoziale, per cercare di ottenere qualche risultato dal braccio di ferro tra Fdi e Lega, che sia il taglio delle tasse o la blindatura di Flavio Tosi come prossimo candidato sindaco a Verona.
    

In attesa che sia sciolto questo rebus Alberto Balboni, presidente meloniano della commissione Affari costituzionali del Senato, ha accordato una settimana di tempo in più per presentare gli emendamenti al ddl sui consiglieri regionali, su cui però c'era una intesa con le opposizioni tanto da essere in sede "redigente", cioè con un iter accelerato. Le opposizioni sono già pronte a presentare "migliaia" di emendamenti se dovesse arrivare anche la proposta sul terzo mandato che non rientrava "affatto" negli accordi. Una mossa "inaccettabile" per il presidente dei senatori dem Francesco Boccia, una "forzatura di una maggioranza divisa", attacca anche la vicecapogruppo M5S Alessandra Maiorino. Peraltro un terzo mandato, osserva Balboni, andrebbe temperato con dei "contrappesi" come "maggiori poteri delle assemblee oggi praticamente ostaggio dei governatori". Senza considerare che a ruota, e già ha posto la questione ad esempio Noi Moderati, arriverebbe la richiesta di superare il limite al numero dei mandati anche per i sindaci delle grandi città.
       

Mentre imperversa la battaglia verbale sulle regionali, la maggioranza si divide al Parlamento europeo sulla mozione contro gli abusi sessuali sui minori (Fi vota sì, Fdi e Lega si astengono perché si dà troppo spazio a teorie "gender") e fa un pasticcio alla Camera a Roma dove, per un dichiarato errore, passa all'unanimità una mozione di Italia Viva a prima firma di Maria Elena Boschi sulle misure per attrarre i ricercatori su cui il governo aveva dato invece parere contrario.