Economia di Redazione , 05/04/2025 7:51

STUDIO CGIA | Rischio povertà: è molto più alto tra gli autonomi che tra i dipendenti

Soldi
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Tra tutti i nuclei che in Italia hanno come capofamiglia un lavoratore autonomo, il rischio povertà o esclusione sociale è al 22,7 per cento, mentre la quota riferita a tutte le famiglie con alla guida un lavoratore dipendente è decisamente inferiore e pari al 14,8 per cento. In altre parole, se negli ultimi decenni abbiamo assistito a una progressiva riduzione del potere d’acquisto dei salari che ha spinto verso l’area dell’indigenza molti operai/impiegati con bassi livelli di inquadramento contrattuale, ai lavoratori autonomi le cose sono andate molto peggio. I fatturati hanno subito delle forti contrazioni e, conseguentemente, la qualità della vita delle partite Iva ha subito un deciso aggravamento. Purtroppo non ci sono dati regionali, ma è verosimile che questo differenziale a discapito degli autonomi sia presente anche in Veneto. 

La denuncia è sollevata dall’Ufficio studi CGIA che ha elaborato i dati dell’Istat. 

Qualcuno potrebbe obbiettare che i dati riferiti alla povertà dei lavoratori autonomi sarebbero condizionati da importi reddituali  dichiarati non corrispondenti al vero. In realtà, il rischio povertà o esclusione sociale è un indicatore molto complesso che è dato dalla somma delle persone che si trovano in almeno una delle seguenti

condizioni: vivono in famiglie a rischio povertà; vivono in famiglie in condizioni di grave deprivazione materiale e sociale; vivono in famiglie a bassa intensità di lavoro. Ovviamente, tra le categorie monitorate dall’Istat la più disagiata economicamente e socialmente è quella dei pensionati, dove il rischio povertà delle famiglie è addirittura al 33,1 per cento. 

Oltre 500mila partite Iva, 133mila sono forfettari

In Veneto il numero delle partite Iva è stimato in 515.180 unità. Di questi, 133.400 operano in regime dei minimi. Stiamo parlando di attività economiche senza dipendenti e senza alcuna organizzazione d’impresa con un fatturato annuo al di sotto degli 85 mila euro. Insomma, una pura e semplice partita Iva che fa dell’autoimprenditorialità la sua ragione lavorativa.  E’ il caso di tanti giovani, di altrettante donne e di molte persone in età avanzata che sbarcano il lunario con piccoli lavori/consulenze senza disporre di alcun ammortizzatore sociale e/o sostegno pubblico. Soggetti che faticano a incassare le proprie spettanze e che, nella stragrande maggioranza dei casi, si trovano in condizioni economiche molto fragili e, quindi, a forte rischio di povertà o esclusione sociale. 

Rispetto al 2003, reddito autonomi – 30%

Negli ultimi 20 anni il reddito degli autonomi è sceso del 30 per cento, mentre quello dei lavoratori dipendenti è diminuito di “solo” l’8 per cento. Per i pensionati, invece, il dato è rimasto pressoché stabile. La debolezza economica di molte partite Iva, il crollo dei consumi interni – causato dalle crisi economiche che si sono succedute in questi due decenni - e alla concorrenza praticata dapprima dalla grande distribuzione e negli ultimi anni dal commercio elettronico,  hanno fiaccato la tenuta reddituale di tantissime micro attività. 

Dazi: danni anche a molti lavoratori autonomi

Dal momento che non lavorano direttamente con i mercati stranieri e che sono pochissimi coloro che operano nelle filiere produttive coinvolte nelle esportazioni, i lavoratori autonomi non dovrebbero subire effetti negativi dall’introduzione dei dazi annunciati nei giorni scorsi dal Presidente Trump. Ma le cose potrebbero andare anche diversamente. Se le misure protezionistiche introdotte dall’Amministrazione statunitense dovessero provocare una flessione della crescita economica e un incremento dell’inflazione anche in Italia, gli autonomi più fragili potrebbero essere tra i lavoratori più danneggiati. Ecco perché è necessario, dove possibile, diversificare i mercati di vendita all’estero dei nostri prodotti e rilanciare la domanda interna, attraverso la messa a terra del PNRR e una ripresa dei consumi che potrebbe essere agevolata proseguendo nella riduzione delle imposte a famiglie e imprese.

In Veneto in difficoltà quasi 600mila persone

In termini assoluti tutta la popolazione totale a rischio povertà o esclusione sociale presente in Veneto è a pari a 599mila persone. Il dato Italia ammonta a 13,5 milioni. La regione che ne conta di più è la Campania con 2,4 milioni. Seguono la Sicilia con 1,9, il Lazio con quasi 1,5 e la Puglia con 1,46. Se, invece, prendiamo come riferimento la percentuale a rischio povertà sul totale abitanti, in Veneto la quota è del 12,4 per cento. La regione con l’incidenza più elevata è la Calabria (48,8 per cento). Seguono la Campania (43,5), la Sicilia (40,9) e la Puglia (37,7). Il dato medio nazionale è pari al 23,1 per cento.