Omicidio Cecchettin, Turetta: "Soffro io, devi soffrire anche tu" VIDEO
Perchè ho ucciso Giulia?
"Avevo rabbia perché io soffrivo, volevo tornare insieme, mi faceva rabbia che lei non volesse.
Incolpavo lei di non riuscire a portare avanti la mia vita e volevo che il nostro destino fosse lo stesso per entrambi. Soffro io, devi soffrire anche tu".
Così Filippo Turetta, reo confesso dell’omicidio di Giulia Cecchettin, comparso in aula nella seconda udienza del processo a suo carico in corte d’assise al tribunale di Venezia.
Omicidio volontario aggravato dalla premeditazione, crudeltà, efferatezza, di sequestro di persona, di occultamento di cadavere e di stalking.
Il 23enne di Torreglia, in carcere a Verona, uccise Giulia con 75 coltellate la sera dell’11 novembre 2023 per poi abbandonare il corpo in una scarpata a Piancavallo (Lago di Barcis, in Friuli) e tentare una fuga durata circa 10 giorni e conclusasi in Germania.
Dopo aver depositato alla corte un memoriale di una 50ina di pagine scritto nei mesi di suo pugno per raccontare la sua versione e i suoi sentimenti, oggi il giorno del confronto in aula. La prima volta che compare e parla dopo l’arresto. Che incontra il papà Gino e gli altri familiari di Giulia, senza mai neanche per sbaglio incontrare il loro sguardo in aula.
Jeans scuri, felpa blu, scarpe da ginnastica, sguardo come perso nel vuoto nel rispondere tra pause, giri confusi di parole e “non mi ricordo” alle domanda in aula.
Prima al pubblico ministero, al quale ha ricostruito punto per punto la lista di cose da fare e da comperare scritta la sera del 7 novembre, quell’elenco che lo portava al suo proposito messo poi in atto l’11 novembre, di rapire e poi togliere la vita a Giulia che non lo voleva più.
Dopo la stesura della lista martedì sera in seguito all’ennesimo litigio con Giulia, l’abbonamento a una rete Vpm per cercare online luoghi di montagna isolati dove portarla.
Poi il prelievo di 200 euro al bacomat per avere denaro contante, le ricerche di come un’auto potesse essere rintracciata o di come non fare appannare i vetri della macchina. L’acquisto di nastri isolanti per immobilizzarla e di una cartina geografica italiana. Poi ha messo in auto 2 coltelli e sacchi neri per disfarsi in futuro degli oggetti usati, gli stessi che ha poi usato anche per coprire e tentare di nascondere il corpo abbandonato di Giulia. “Non volevo si vedesse in quelle brutte condizioni” ha spiegato.
Fino alla serata dell’11 novembre: lo shopping e la cena con Giulia alla Nave de Vero, la sosta in auto a Vigonovo vicino a casa di Giulia. L’ennesimo litigio di una persona ossessiva con cui Giulia non voleva più avere una relazione.
Giulia che esce dalla macchina, lui esce e la insegue con il coltello e inizia a colpirla. Lei cade, lui la scuote e le fa sbattere la testa. Poi la spinge in macchina e parte verso la zona industriale di Fossò dove avviene il clou dell’aggressione, continuata anche durante il tragitto in auto con coltellate e il tentativo di tapparle la bocca con lo scotch.
La furia finale: “Avrei voluto darle un colpo al collo più veloce e meno doloroso, ma lei si difendeva” racconta.
Il difensore di Turetta, Giovanni Caruso, prova a far emergere il suo aspetto umano: lui stesso si definisce timido, introverso, noioso, poco intraprendente e interessante. Ripercorre la relazione di Filippo e Giulia, interrotta già due volte prima dello stop finale, sempre da parte della ragazza, per i comportamenti ossessivi e soffocanti di lui.
“Non ho chiesto scusa ai Cecchettin perché sarebbe stato ridicolo di fronte a una cosa così – dice. - L’unica cosa a cui penso è che sia giusto affrontare questo e provare a espiare la colpa, pagare per quello che ho fatto”.
Prossimo appuntamento in aula il 25 e 26 novembre, poi il 3 dicembre la sentenza.