Mauro Covacich e l'omaggio a Italo Svevo al Piccolo Teatro di Giulietta del Nuovo
Lo scrittore triestino Mauro Covacich protagonista di un attesissimo spettacolo su Italo Svevo in scena sabato 16 ottobre a Verona, al Nuovo, prima di essere rappresentato, lunedì 18, al Salone del libro di Torino, e venerdì 29 all’Istituto Italiano di Cultura di Parigi. Tre giorni dopo il debutto (a Trieste), lo spettacolo Svevo di e con lo scrittore triestino Mauro Covacich arriva a Verona: sabato 16 ottobre nel Piccolo Teatro di Giulietta del Nuovo alle ore 21 con la regia di Franco Però. Lunedì 18, due giorni dopo Verona, lo spettacolo andrà in scena al Salone del libro di Torino e, a fine mese, all’Istituto Italiano di Cultura di Parigi.
Scrittore di successo (tra le sue opere narrative la pentalogia “ciclo delle stelle” edita da Mondadori ed Einaudi e La città interiore e Di chi è questo cuore uscite per “La nave di Teseo”), Covavich non poteva non cimentarsi con Italo Svevo: un passaggio obbligato, forse addirittura uno scoglio da superare. Soprattutto se si è scrittori. E soprattutto se si sono frequentate le medie “Italo Svevo” in via Italo Svevo. «All’epoca della mia formazione – ha dichiarato Covacich alla Lettura del Corriere – Svevo era una presenza ingombrante, quasi un deterrente. Corrispondeva al cliché del triestino che non ero. I miei compagni di scuola gli rassomigliavano. Venivano dal milieu della borghesia benestante mentre io venivo dalla classe proletaria.
Mi sono reso conto della grandezza della Coscienza di Zeno quando l’ho letta in modo approfondito all’università e ho sgombrato il campo dai pregiudizi». Su un palcoscenico che richiama un’aula scolastica, Svevo emerge nella sua “veemenza” borghese lontana dalla passività di Zeno. Ed è quasi un “corpo a corpo” col grande scrittore mitteleuropeo che passando anche attraverso aneddoti (il padre di Eugenio Montale forniva acquaragia alla fabbrica di vernici proprietà della famiglia della moglie di Svevo) scende sempre più in profondità, nei pensieri e nei ricordi di Covacich. A partire dalla Coscienza studiata al liceo in modo analitico, con riferimenti alla sua costruzione, alla psicanalisi, ma non alla questione della lingua che invece è fondamentale. «Il triestino – dice Covacich – è stato a lungo una lingua franca con cui la gente comunicava e comunica tuttora.
Se incontro Claudio Magris per strada, parliamo in triestino. Il triestino ha avuto funzione transnazionale: James Joyce, quando scriveva a Svevo, scriveva in dialetto. In Ritratto dell’artista da giovane Joyce fa dire a Dedalus: “io l’inglese me lo sento in bocca coma una lingua straniera”. Come Joyce anche Svevo sente straniera la lingua in cui scrive. «Svevo, nel libro – conclude Covacich – lo ripete tre o quattro volte: “attenzione, sto scrivendo in una lingua che non è la mia, ho imparato il toscano come una lingua straniera”. Chissà quali altre verità ci avrebbe detto Zeno se avesse parlato in triestino». Nello spettacolo riferimenti anche a Gilles Deleuze e a Felix Guattari.