la Redazione

I GOL PIU' BELLI DELLA STORIA | Sacchetti: "Vi racconto quella magia di Belgrado..."

Un numero tipico di un giocoliere, una di quelle giocate che vedi fare ai ragazzini che corrono, spensierati, dietro a un pallone sulle spiagge brasiliane. Un sombrero a scavalcare un avversario a 30 metri dalla porta, e in una frazione di secondo una saetta improvvisa e inaspettata squarcia il cielo di Belgrado. Un momento che si dilata nel tempo e diventa infinito. I tifosi del Verona se lo ricordano come fosse ieri, impresso nelle loro menti e nei loro cuori. Una prodezza unica nella sua genialità, che si ricollega, come solo le grandi gesta sportive sanno fare, al capolavoro in rovesciata di Ngonge della domenica appena passata. Chi meglio di Gigi Sacchetti, centrocampista con la straordinaria dote di cucire e collegare i reparti, per questo detto Singer, può raccontarci come si pensa e poi realizza un capolavoro del genere? 

 

Sacchetti, più bello il gol di Ngonge in rovesciata contro l’Udinese o il suo nella magica serata del 28 settembre 1983?

 

Il ragazzo ha fatto un capolavoro in acrobazia con un gesto tecnicamente impeccabile, anche perché era in mezzo a tre avversari, c’è stata una grande scelta di tempo. Ma dal punto di vista del momento storico il gol di Belgrado ha significato qualcosa di importante, ha permesso di bloccare la Stella Rossa che ci stava dominando e di ribaltare l’inerzia della partita. Inoltre anche il mio, dal punto di vista balistico, è stato un grande gol di cui conservo un bellissimo ricordo, era un palco internazionale. L’immagine di quegli istanti rimane impressa nella mia mente.


 

A proposito di quella partita, ci racconti come era l’atmosfera del Marakana e le emozioni che si provavano a giocare di fronte a 100 mila persone.

 

Il prepartita è stato alquanto caldo. Eravamo molto preoccupati da quello che ci aspettava, dal tunnel degli spogliatoi si vedevano le tribune ed era uno spettacolo che incuteva timore. Infatti nel primo quarto d’ora eravamo nettamente in balia dell’avversario, quasi confusi. Ma dopo poco ci siamo ambientati, eravamo una squadra con carattere e il muro di gente alla fine ci ha caricati.

 

Facendo un passo indietro, quando e come ha iniziato a giocare a calcio?

 

Da bambino giocavo nella squadra del quartiere, si accorse di me il professor Scoglio, al quale devo tutto, che allenava la Gioiese in quarta serie, io non avevo ancora sedici anni, convinse i miei genitori a provare l’avventura di andare a giocare a Gioia Tauro a 50 km da casa nostra. Un ragazzino di quindici anni nella quarta serie calabrese, ero l’unico probabilmente! Ho fatto buone partite, tant’è che mi fecero fare dei provini con la Roma, il Napoli, la Juve, e arrivò anche la convocazione in nazionale juniores. In questo contesto la Fiorentina si accorse di me e venni parcheggiato ad Asti. L’anno dopo entrai nel grande calcio.


 

In quegli anni le capitò di marcare Maradona…

 

L’Argentina veniva dalla vittoria dei Mondiali del ‘78, a cui non aveva partecipato Maradona. In quella tournée era stato convocato, a me spettava l’ingrato compito di doverlo marcare. A fine partita sono stato seduto dieci minuti negli spogliatoi perché mi girava la testa. Già allora aveva fatto vedere dei numeri da grande campione, preludio di quello che sarebbe diventato.

 

Dopo i 7 anni a Firenze, l’approdo al Verona. Com’è stato accolto dalla città e dal club? Come siete arrivati a costruire il capolavoro scudetto?

 

Quando arrivai a Verona non avevo molto entusiasmo, il campionato precedente ero arrivato secondo con la Fiorentina dietro solo alla Juventus, e passai ad una neopromossa, un po’ strana come cosa. Però mi sono ritrovato con dei giocatori con la mia stessa esperienza, anche loro venivano da club di prestigio e quindi si è subito creato un gruppo unito, integrato da qualche arrivo importante. Ci fu il salto di qualità e poi… lo scudetto! Ma, a dire il vero, il calcio migliore lo avevamo espresso negli anni precedenti, nell’anno del tricolore eravamo più convinti e concreti. Durante la stagione non si parlava mai di vincere il campionato, eravamo coscienti di essere una “provinciale”. Poi è successo qualcosa, al brindisi di Capodanno ci siamo guardati in faccia ed è nato qualcosa di speciale. Mister Bagnoli minimizzava ma anche lui dentro di sé maturava il grande pensiero.


 

Passando al Verona attuale, come giudica fino ad ora questa stagione e il lavoro di Baroni?

 

Baroni lo conosco molto bene, era a Firenze nei miei stessi anni e sono diventato amico dei suoi genitori. È una bravissima persona e questo vuol dire già tanto. I risultati li ha sempre ottenuti, centrando molte salvezze. Quest’anno ha incontrato diverse difficoltà ma negli ultimi 15 giorni sembra abbia messo a posto la squadra, ha cambiato il modo di stare in campo, che adesso riflette maggiormente le sue caratteristiche. 

 

Per concludere, è possibile ricreare quella magica atmosfera che portò il suo Verona a trionfare? E cosa servirebbe?

 

Le nostre vittorie non sono impossibili da poter raggiungere di nuovo, certamente è molto difficile. Servirebbero copiosi investimenti dall’estero, un fondo arabo o russo. Ma già il ritorno in Europa sarebbe un grandissimo traguardo.